Tutela salute e sicurezza

I lavori vietati

In attuazione dei principi di speciale e adeguata protezione che la Costituzione (art. 37 Cost.) riserva alla madre lavoratrice e al bambino, il Legislatore ha nel tempo previsto delle specifiche misure per la tutela delle lavoratrici durante il periodo della gravidanza. Le tutele e i diritti che proteggono i genitori dai comportamenti arbitrari del datore di lavoro mirano a garantire la salute e la sicurezza della madre e del bambino, aggiungendosi ai diritti di astensione e alle tutele di natura economica e previdenziale. Si applicano di regola ai genitori naturali e per analogia anche a quelli adottivi e affidatari.
Presupposto per l’operatività delle norme finalizzate a garantire la sicurezza della lavoratrice e del bambino è la comunicazione al datore di lavoro del proprio stato di gravidanza o di madre di bambino con meno di 7 mesi di età. In mancanza di comunicazione non si potrà ascrivere in capo al datore alcuna responsabilità. Una volta informato, il datore di lavoro non può adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri (art. 7, commi 1 e 2, T.U.). Per l’individuazione dei lavori considerati pericolosi, faticosi ed insalubri, ivi inclusi quelli che comportano il rischio di esposizione agli agenti, la norma rimanda all’elenco allegato allo stesso T.U. (Allegato A e Allegato B al T.U.).

Pertanto, per il periodo per il quale è previsto il divieto, la lavoratrice deve essere addetta ad altre mansioni e lo stesso vale nel caso in cui sussistano i rischi richiamati nei citati Allegati o nel caso in cui i servizi ispettivi del Ministero del Lavoro accertino che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli per la salute della donna (art. 7, commi 3 e 4, T.U.). Il Ministero del Lavoro, con riferimento all’adibizione della lavoratrice ad altre mansioni quando non è possibile evitare rischi per la sua salute e sicurezza, ha precisato che nel caso in cui non vi sia possibilità di spostare la dipendente all’interno della stessa unità produttiva si può spostare la stessa presso un’altra sede dell’azienda a condizione che si trovi nello stesso comune e che l’interessata presti il proprio consenso (Risp. Interpello Min. Lav. 25-1865/2006). In questi casi, la donna può essere adibita anche a mansioni inferiori a quelle abitualmente svolte, ma ha diritto alla retribuzione spettante per le mansioni precedentemente svolte nonché alla qualifica originale. Inoltre, nel caso di assegnazione a mansioni superiori, la lavoratrice ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi (art. 7, comma 5, T.U.).

Infine, nel caso in cui la lavoratrice non possa essere adibita ad altre mansioni, il servizio ispettivo competente può disporre l’interdizione dal lavoro per tutto il periodo in esame, vale a dire sino al compimento del 7° mese di età del figlio (art. 7, comma 6, T.U.).

Il datore di lavoro è tenuto a valutare i rischi specifici per la sicurezza e la salute delle lavoratrici gestanti e puerpere, ed in particolare i rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici e biologici, e ad informare le stesse sui risultati della valutazione e sulle conseguenti misure di prevenzione e di protezione adottate (artt. 11 e 12 T.U.).

Il lavoro notturno

Oltre alle cautele relative alla compatibilità delle attività materialmente svolte, l'art. 53, comma 1 T.U. pone il divieto generale di adibire le donne al lavoro in orario notturno (tra le 24 e le 6 del mattino) per tutto il periodo che intercorre dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Tuttavia, l'esonero delle neo madri dal lavoro notturno, generale e a priori nel periodo protetto, è stato censurato dall Commissione Europea per contrasto con la normativa comunitaria ed è stato oggetto di un passato procedimento di infrazione (2006/2228). Nel mettere in mora il nostro Paese, la Commissione argomentava a partire dalla osservazione che le direttive europee esonerano le madri dal lavoro notturno solo quando questo possa andare a detrimento della salute e sempre dietro presentazione della documentazione sanitaria. L'automaticità del divieto posto dal Legislatore italiano (divieto generale di lavoro notturno nel periodo che intercorre tra l'accertamento della gravidanza e il compimento di 1 anno di età del bambino) andrebbe al di là della protezione garantita in ambito comunitario, configurando una discriminazione delle madri italiane che si risolverebbe anche nella perdita di retribuzione legata al divieto generale. La questione posta dalla commissione ha indotto a una riflessione più approfondita sul tema, all'esito della quale il divieto generale di lavoro notturno nel periodo protetto resta ai sensi dell'art. 53 T.U., ma non si applica al personale di volo per il quale si deve invece fare riferimento al D.Lgs. 185/2005 (attuazione della direttiva europea sull'organizzazione del lavoro del personale di volo) e alla contrattazione collettiva. 

Accanto al divieto generale di lavoro notturno fino ad 1 anno di età del bambino, l'art. 53 T.U. stabilisce anche che non sono obbligati a prestare lavoro notturno (e quindi hanno diritto di rifiutarlo alla richiesta del datore di lavoro):

  1. la lavoratrice madre di un figlio in età inferiore ai 3 anni o in alternativa il lavoratore padre convivente;
  2. la lavoratrice o il lavoratore che siano l'unico genitore affidatario (e, per analogia, il genitore vedovo: Risp. Interpello Min. Lav. 37-11687/2014) di un figlio convivente di età inferiore ai 12 anni; 
  3. la lavoratrice o il lavoratore che abbiano a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 104/1992.

Non contenendo espressamente una esenzione analoga per i genitori adottivi ed affidatari, la norma si prestava ad incertezze applicative che sono state di recente eliminate dall'art. 11 del D.Lgs. 80/2015 (c.d. Decreto Conciliazione). Con decorrenza dal 25 giugno 2015, la nuova lettera b-bis inserita nel secondo comma dell'art. 53 T.U. (e nel secondo comma dell'art.11 D.Lgs. 66/2003)  colma la precedente lacuna e sancisce una tutela analoga per i genitori adottivi e affidatari (alle stesse condizioni e entro i 3 o 12 anni che decorrono in questo caso dall'ingresso del minore in famiglia).  

Legislazione nazionale

  • D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 80, Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (cd. Jobs Act). Interviene sul solco della normativa vigente ad estendere le tutele e i beneficiari delle misure previste dal Testo Unico 151/2001 (tutela e sostegno della maternità e paternità). 
  • D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro. Nel dare attuazione organica alle direttive europee, regolamenta in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, nel pieno rispetto del ruolo della autonomia negoziale collettiva, i profili di disciplina del  rapporto di lavoro connessi alla organizzazione dell'orario di lavoro.
  • D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53. Riorganizza, unifica e semplifica la normativa in materia di tutela della maternità e paternità: la Legge 1204/1971 (ormai abrogata) e la Legge n. 53/2000 sui congedi parentali.

Circolari e note