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Il welfare? Per migliorare il clima in azienda
È questa la molla principale che spinge le imprese, insieme alla volontà di ridurre il costo del lavoro e attrarre talenti. La ricerca Welfare Aziendale in Italia 2017
26 giugno 2017

Cresce e si arricchisce il welfare aziendale in Italia, con sempre più imprese che si sono mosse o stanno programmando i primi passi in questa direzione.

A fotografare la situazione è la ricerca “Welfare Aziendale in Italia. Edizione 2017” presentata qualche giorno fa a Milano e condotta da Luca Pesenti, docente di Sistemi di Welfare Comparati dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, per conto di Welfare Company, su un campione di 326 HR manager fornito dall’Associazione Italiana Direzione Personale (AIDP).

Nel campione erano rappresentate soprattutto aziende del Nord (77,7%) e di grandi dimensioni (il 60% hanno oltre 250 addetti, il 45% sono multinazionali), mentre le piccole imprese erano solo il 14,5%. Operavano per lo più nel settore dell’industria (47%), seguito dai servizi (41%). Quasi tutte hanno un’elevata propensione all’innovazione: ben il 95% ha fatto interventi su prodotti e/o processi negli ultimi tre anni.

Il 67% delle imprese intervistate fa welfare e il 18,4% lo ha introdotto negli ultimi dodici mesi. Secondo il 37%, le agevolazioni fiscali previste dalle nuove normative hanno incentivato l’attivazione di piani, ma non in modo decisivo.

Perché fare welfare? La maggior parte delle aziende si è mossa per migliorare il clima aziendale (81%), ridurre il costo del lavoro (70,6%), attrarre talenti (62,7%) e incrementare la produttività dei dipendenti (57,1%). In media i benefit più diffusi sono le mense aziendali e i buoni pasto (60%), la flessibilità degli orari (46%), le polizze sanitarie (41,4%), le convenzioni per il consumo (38,2%), l’assistenza sanitaria (36,8%) e i benefit per lo studio dei figli (30%).

Dalla ricerca emerge anche che in un’azienda su tre il tasso di conversione del premio di produttività in servizi di welfare risulta inferiore al 30%, ma un buon piano di comunicazione può aumentare la percentuale di conversione anche fino all’80%.

“La presenza dei provider di servizi di welfare è in aumento. Erano il 18% nel 2016, oggi sono presenti nel 25,5% delle aziende”, commenta Chiara Fogliani, CEO di Welfare Company. “Le imprese hanno capito che il provider non è un semplice fornitore di servizi di welfare, ma un vero e proprio partner capace di costruire un piano di welfare su misura delle aziende e dei dipendenti”.

Secondo le interviste, il provider viene scelto innanzitutto sulla base della capillarità della rete di servizi offerti e in subordine per la semplicità di utilizzo delle tecnologie messe a disposizione delle aziende. Meno rilievo viene dato invece ai costi dei servizi. “Questi dati – aggiunge Fogliani - confermano il trend positivo dei provider di welfare”.

"La ricerca - commenta il Prof. Luca Pesenti - segnala uno sviluppo culturale rilevante nelle relazioni industriali. Le aziende che fanno welfare sono anche quelle che lavorano per trovare nuovi sbocchi di mercato, che innovano i processi organizzativi, che investono su logistica, marketing e distribuzione. Dunque il welfare non è episodico, ma parte di una strategia di modernizzazione dell'impresa. E dall'altro lato i sindacati si mostrano più interessati e intraprendenti”.

Solo nel 18% dei casi, infatti, si parla di un sindacato oppositivo o disinteressato, anche se il 41,6% delle aziende lamenta una non elevata formazione dei sindacati. Un punto critico è invece la mancata diffusione di modalità condivise e in rete di welfare tra imprese. Solo l’8% del campione ne fa già uso. “Su questo – nota Pesenti - ci sono da fare grandi passi in avanti, perché è una condizione forse indispensabile per permettere anche alle piccole imprese di accedere a queste esperienze".

Per quanto riguarda la modalità di introduzione del piano di welfare, il campione si divide in due tra chi lo ha fatto con modalità unilaterali (48,3%) e chi invece ha invece ha siglato un contratto aziendale (49,7%). Ancora poco diffuso l’utilizzo della contrattazione territoriale (2%).

“L’interesse e il valore di questa ricerca promossa dai Direttori del Personale risiede nella possibilità di misurare il ritorno di una norma che dovrebbe dare nuovo impulso al welfare aziendale” commenta Isabella Covili Faggioli, Presidente Nazionale AIDP. “Se è vero infatti che il welfare non nasce con la legge di stabilità e le direzioni del personale ne fanno da decenni un elemento permeante della propria strategia gestionale, la legge oggi offre spunti nuovi e invita a una maggior proattività e creatività”.

Il welfare aziendale, segnalano quindi gli autori della ricerca, non è solo un’occasione di risparmio, ma un’importante strumento di ingaggio, di ascolto e di risposta concreta ai bisogni delle persone e delle loro famiglie, da cui l’importanza cruciale delle indagini preliminari. La ricerca evidenzia la correlazione innovazione e welfare, insieme a una forte propensione e crescita dello smart working.

Altro aspetto confermato dalle interviste, aggiunge Faggioli, “è che il welfare aziendale può rappresentare una sfida per le nostre relazioni industriali, un’occasione per aprire una nuova stagione di collaborazione fra le parti sociali, per unire il benessere dei lavoratori e la produttività aziendale”.

In futuro, il welfare aziendale è destinato a crescere ancora. La ricerca mostra infatti che il 41% del campione è già al lavoro per introdurre un piano di welfare o ampliare quello esistente, mentre un ulteriore 27% ha intenzione di lavorarci. Nello specifico, il 28,2% del campione sta lavorando sui benefit materiali, il 22,7% sull’assistenza sanitaria, il 21,8% sui benefit per lo studio dei figli e il 21,4% sulla polizza sanitaria. Per il 33,6% del campione, comunque, il punto che andrebbe ancora sviluppato è quello dello smart working.

Equipeonline.it

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Ricerca. Il Welfare Aziendale in Italia. Edizione 2017