Part-time

Disciplina del contratto

Il contratto di lavoro a tempo parziale (c.d. part-time) ha la funzione di introdurre una rilevante flessibilità nel rapporto di lavoro subordinato con riguardo al tempo e alla durata della prestazione e costituisce, pertanto, un ottimo strumento per conciliare l'attività professionale con altre necessità.

Spesso rivista e modificata, la disciplina del contratto di lavoro a tempo parziale è ormai trasfusa nel testo che detta la disciplina organica dei contratti e la revisione delle mansioni (artt. 4-12 D.Lgs. 81/2015) in attuazione della delega introdotta dall'art. 1, comma 7 della L. 183/2014 (cosiddetta Jobs Act).

Con il contratto di lavoro a tempo parziale si instaura un rapporto di lavoro subordinato caratterizzato da un orario di lavoro inferiore rispetto all’orario normale (cosiddetto tempo pieno, fissato in 40 ore settimanali o nella minor durata stabilita dal contratto collettivo a norma dell’art. 3 D.Lgs. 66/2003). Stipulato in forma scritta ai fini della prova, il contratto deve contenere non solo l’indicazione puntuale della durata della prestazione, ma anche la collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno (art. 5 D.Lgs. 81/2015).

Il lavoro supplementare e straordinario

La normativa che nel corso degli anni è intervenuta più volte a ridisegnare la disciplina del lavoro a tempo parziale (ora trasfusa nella disciplina organica dei contratti) ha via via aumentato le possibilità per il datore di lavoro di richiedere alla lavoratrice e al lavoratore in regime di part-time ore di lavoro in più rispetto all’orario di lavoro ridotto.
Il lavoro che eccede l’orario del part-time concordato tra le parti può essere classificato come:

  1. lavoro supplementare: è l’attività lavorativa svolta dai lavoratori part-time oltre l’orario concordato a livello individuale e fino al limite previsto dalla contrattazione collettiva per il tempo pieno. La contrattazione collettiva nazionale o aziendale può stabilire il numero massimo di ore di lavoro supplementare, le causali, maggiorazioni della retribuzione, riposi compensativi e le conseguenze del superamento del limite massimo. In mancanza di previsione del contratto collettivo, il datore di lavoro può comunque richiedere lavoro supplementare sino al limite legale del 25 % delle ore settimanali concordate nel contratto in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi (art. 6 comma 2, D.Lgs. 81/2015). In questo caso, la maggiorazione della retribuzione delle ore supplementari è fissata dalla legge nella misura del 15% della retribuzione globale di fatto (comprensiva dell’incidenza sugli istituti retributivi indiretti e differiti). Il lavoratore e la lavoratrice a tempo parziale possono rifiutare il lavoro supplementare se giustificati da esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione (devono essere però “comprovate”);
  2. lavoro straordinario: è l’attività lavorativa svolta oltre l’orario normale di lavoro, ovvero, oltre le 40 ore settimanali o il diverso monte ore fissato dalla contrattazione collettiva (art. 1 comma 2 lett. c, D.Lgs. 66/2003) ed è consentita anche nel part time a norma dell’art. 6 comma 3, D.Lgs. 81/2015. Al lavoro straordinario si applica la disciplina legale e contrattuale che si applica normalmente in materia di lavoro straordinario nei rapporti a tempo pieno.

Le clausole elastiche

Il datore di lavoro non può normalmente variare la collocazione temporale della prestazione concordata nel contratto di lavoro part-time, né aumentare la durata della prestazione, salva la possibilità, come appena ricordato, di richiedere alla lavoratrice e al lavoratore delle ore di lavoro supplementare o straordinario. Tuttavia, il datore può ottenere una maggiore flessibilità facendo ricorso alle clausole elastiche con cui le parti del rapporto di lavoro a tempo parziale possono pattuire, nel rispetto dei contratti collettivi e per iscritto, condizioni e modalità relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione o alla variazione in aumento della sua durata.

Nei casi regolati dai contratti collettivi, è la contrattazione a determinare le condizioni e le modalità attraverso le quali il datore può modificare la collocazione temporale e aumentare del la durata della prestazione lavorativa, nonché i limiti massimi dell’aumento. Il datore che intenda variare in aumento la prestazione o collocarla diversamente deve dare un preavviso di almeno 2 giorni, anche se le parti possono stabilire un termine diverso, riducendo o aumentando i giorni di preavviso, ma non sopprimerlo del tutto. Inoltre, lo svolgimento di prestazioni elastiche dà diritto a specifiche compensazioni per la lavoratrice e il lavoratore (riposi compensativi o maggiorazioni della retribuzione)nella misura e nelle forme previste dal contratto collettivo (art. 6 commi 4-5, D.Lgs. 81/2015).

In mancanza di ogni previsione nel contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro, le clausole elastiche possono essere pattuite tra le parti, ma la legge richiede che queste siano stipulate per iscritto dinanzi alle commissioni di certificazione (il lavoratore ha la facoltà di farsi assistere da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro). A pena di nullità, le clausole elastiche devono prevedere le condizioni e le modalità che devono accompagnare la variazione della collocazione temporale e la variazione in aumento della prestazione da parte del datore di lavoro; devono inoltre prevedere il limite massimo della variazione in aumento che non può comunque superare il 25% della prestazione annua a tempo parziale (art. 6 comma 6, D.Lgs. 81/2015). Le modifiche d’orario (collocazione temporale ed estensione) comportano il diritto alla maggiorazione del 15% della retribuzione oraria globale di fatto.

Il lavoratore e la lavoratrice che abbiano prestato il consenso alla clausola elastica hanno la facoltà di revocarlo nei casi e alle condizioni richiamate dall’art. 6 comma 7, D.Lgs. 81/2015:

  1. patologie oncologiche o cronico-degenerative ingravescenti del lavoratore/lavoratrice da cui derivi una ridotta capacità lavorativa, accertata da una commissione medica istituita dalla azienda sanitaria locale competente; 
  2. patologie oncologiche o cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i figli o i genitori, nonché necessità di assistere un convivente con inabilità totale e permanente; 
  3. convivenza con figlio di età non superiore a 13 anni o portatore di handicap; 
  4. iscrizione e frequenza di corsi regolari di studio (scuole di istruzione, qualificazione professionale, università). 

Per essere valide, le clausole elastiche richiedono il consenso della lavoratrice e del lavoratore, ma l'eventuale rifiuto non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento (art. 6 comma 8, D.Lgs. 81/2015).

Trattamento economico e normativo del lavoratore part-time

Il trattamento economico e normativo del lavoratore e della lavoratrice part-time è regolato dall’applicazione di due principi fondamentali: 

  1. il principio di non discriminazione: in base al quale il lavoratore e la lavoratrice a tempo parziale non devono ricevere un trattamento meno favorevole rispetto ai colleghi a tempo pieno con inquadramento analogo (art. 7 comma 1, D.Lgs. 81/2015);
  2. il principio di proporzionalità: lavoratrici e lavoratori a tempo parziale devono beneficiare dei medesimi diritti riparametrati in base alla diversa durata dell’orario di lavoro. Nel rapporto di lavoro part-time, il trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa (art. 7 comma 2, D.Lgs. 81/2015).

Trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in part-time

Il rapporto di lavoro a tempo parziale può costituirsi a seguito di assunzione del lavoratore direttamente con un contratto part-time oppure mediante trasformazione successiva di un rapporto da tempo pieno in tempo parziale. In caso di trasformazione, la legge richiede che vi sia un accordo scritto tra datore e lavoratore (art. 8 comma 2, D.Lgs. 81/2015). E il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale o, viceversa, di convertire il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato motivo di licenziamento (art. 8 comma 1, D.Lgs. 81/2015).

La necessità del consenso del lavoratore alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in part-time non implica però alcun diritto in capo al richiedente. Salvo alcuni casi particolari indicati dalla legge, la trasformazione non costituisce un diritto per il lavoratore che infatti, pur richiedendola, non ha la certezza di ottenere un rapporto di lavoro ad orario ridotto. La legge si limita a prevedere un mero obbligo informativo in capo al datore il quale è tenuto ad informare tempestivamente il personale già dipendente con rapporto a tempo pieno delle nuove assunzioni in regime part-time che intende effettuare ed a tenere in considerazione le eventuali domande di trasformazione a tempo parziale presentate dai lavoratori a tempo pieno (art. 8 comma 8, D.Lgs. 81/2015).

Trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in part-time in casi particolari

Tuttavia, in presenza di alcune condizioni o esigenze particolari attinenti alla vita delle lavoratrici e dei lavoratori, la legge riconosce un vero e proprio diritto alla trasformazione o un più limitato diritto di priorità nella trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

Il diritto di ottenere la trasformazione da tempo pieno a tempo parziale è riconosciuto in caso di affezione da malattia oncologica o cronico-degenerativa da cui derivi una ridotta capacità lavorativa, accertata da una commissione medica istituita dalla azienda sanitaria locale competente. In questo caso, la richiesta di trasformazione non può essere negata sulla base di contrastanti esigenze aziendali e, successivamente, il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno a richiesta del lavoratore (art. 8 comma 3, D.Lgs. 81/2015 e Circolare Min. Lav. 40/2005). Anche i neo-genitori hanno diritto di trasformare temporaneamente il rapporto di lavoro in part time per il periodo di congedo parentale ancora spettante e in sostituzione del relativo godimento. Il diritto alla riduzione strutturale dell’orario di lavoro è esigibile solo una volta e purché la riduzione d’orario non superi il 50%. In questo caso, il datore di lavoro è tenuto a dare corso alla trasformazione del rapporto di lavoro in part time e deve provvedere entro 15 giorni dalla richiesta (art. 8 comma 7, D.Lgs. 81/2015).

Un più debole diritto di priorità nella considerazione della richiesta di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale è invece riconosciuto nei casi particolari individuati dai commi 4, 5 e 6 dell’art. 8 del D.Lgs. 81/2015. La priorità spetta ai lavoratori e alle lavoratrici che:  

  1. abbiano il coniuge, i figli o i genitori affetti da patologie oncologiche (art. 8 comma 4, D.Lgs. 81/2015);
  2. assistano una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa grave, con necessità di assistenza continua (art. 8 comma 4, D.Lgs. 81/2015);
  3. abbiano un figlio convivente di età non superiore agli anni tredici o portatore di handicap (art. 8 comma 5, D.Lgs. 81/2015).

Il diritto di precedenza nella trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a tempo pieno

Se, da un lato, il Legislatore favorisce la trasformazione da tempo pieno a tempo parziale in presenza di particolari esigenze di conciliazione, dall’altro non mancano previsioni volte a promuovere la reintegrazione del tempo pieno nelle fasi del ciclo di vita in cui quelle stesse esigenze siano cessate o siano divenute meno pressanti. Posto il sacrificio di una minore retribuzione che consegue ai rapporti di lavoro a tempo parziale, la legge tende a favorire la nuova trasformazione degli stessi a tempo pieno, prevedendo a tal fine un diritto c.d. “di precedenza”. Infatti, il lavoratore e la lavoratrice il cui rapporto sia trasformato da tempo pieno a tempo parziale hanno il diritto ad essere preferiti rispetto ad altri nel caso in cui il datore di lavoro intenda effettuare nuove assunzioni con contratti di lavoro a tempo pieno per l’espletamento di mansioni uguali o equivalenti (art. 8 comma 6, D.Lgs. 81/2015).

Disciplina delle sanzioni

Il Legislatore presidia le prescrizioni poste dalla nuova Disciplina organica dei contratti in tema di part-time prevedendo alcune sanzioni per il caso di inadempimento o violazione.

In particolare, se difetta la prova della stipulazione a tempo parziale (scritta), su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno sin dall’origine, fermo restando che, per il periodo precedente la dichiarazione giudiziale, il lavoratore ha diritto alla retribuzione e alla contribuzione dovuti per le prestazioni effettivamente rese (art. 10 comma 1, D.Lgs. 81/2015).

Se nel contratto scritto manca l’indicazione della durata della prestazione, è dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno a far data dalla pronuncia (art. 10 comma 2, D.Lgs. 81/2015).

Se l’omissione riguarda invece la collocazione temporale dell’orario, questa è determinata dal giudice che tiene conto delle esigenze del lavoratore (responsabilità familiari e necessità di integrazione del reddito attraverso altra attività lavorativa) e del datore di lavoro. Per il periodo precedente la pronuncia spettano al lavoratore la retribuzione delle prestazioni effettivamente rese e un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno (art. 10 comma 2, D.Lgs. 81/2015).

Infine, anche le prestazioni rese in esecuzione di clausole elastiche pattuite in violazione di condizioni, modalità e limiti previsti dalla legge o dai contratti collettivi danno diritto al risarcimento del danno (art. 10 comma 3, D.Lgs. 81/2015).

Secondo una giurisprudenza precedente alle innovazioni legislative introdotte dal recente D.Lgs. 81/2015, il rapporto di lavoro costituito originariamente a tempo parziale può trasformarsi in rapporto a tempo pieno per fatti concludenti. Ciò si può verificare per effetto della continua ed effettiva osservanza di un orario di lavoro pari a quello previsto per il lavoro a tempo pieno (Cass. n. 15774/2011 e Cass. n. 11905/2011).

Legislazione comunitaria

  • Direttiva 1993/104/CE del Consiglio Europeo del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti della organizzazione dell'orario di lavoro. La Direttiva regola i limiti temporali della prestazione di lavoro e i regimi temporali in cui è maggiormente avvertita avvertita l'esigenza di tutelare le condizioni di sicurezza e di salute dei lavoratori. In particolare prescrive che gli Stati adottino le misure necessarie a salvaguardare la salute e sicurezza dei lavoratori anche attraverso la determinazione normativa dei riposi (giornalieri, settimanali, e annuali) e dei limiti al lavoro notturno.
  • Direttiva 97/81/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997, relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES. La direttiva stabilisce l‟uguaglianza di trattamento tra i lavoratori full time e part-time e incoraggia il ricorso al part-time a tutti i livelli di responsabilità dell’impresa.
  • Direttiva 2000/34/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 giugno 2000, che modifica la direttiva 93/104/CE del Consiglio concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, al fine di comprendere i settori e le attività esclusi dalla suddetta direttiva. Modifica il campo di applicazione della precedente direttiva 104 sull'orario di lavoro estendendolo anche ai settori che ne erano prima esclusi, ovvero trasporti, attività in mare e attività dei medici in formazione. Dopo la modifica del giugno 2000, i lavoratori appartenenti a queste tre categorie fruiscono di alcune disposizioni per quanto riguarda i periodi di riposo, i tempi di pausa, le ore di lavoro, i congedi retribuiti ed il lavoro notturno.

Legislazione nazionale

  • D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183. In attuazione del Jobs Act, il Decreto intende raccogliere la disciplina delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro in un testo organico semplificato e dispone la revisione della disciplina delle mansioni, nei  casi di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale. 
  • D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. Il Decreto attua la Legge Biagi, attraverso un disegno di riforma che agisce sia sul sistema degli intermediari del lavoro sia sul sistema dei contratti, con l'obiettivo di: rendere più flessibile il mercato del lavoro, migliorarne l'efficienza, sostenere le politiche attive per il lavoro e favorire la diminuzione del tasso di disoccupazione.
  • D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, Attuazione delle direttive 1993/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro. Attua in Italia le direttive citate nel titolo disciplinando gli aspetti del rapporto di lavoro connessi alla organizzazione dell'orario nel rispetto dell'autonomia negoziale collettiva: disciplina fra gli altri, l'orario normale di lavoro, il lavoro straordinario, i riposi giornalieri, settimanali e annuali, i limiti al lavoro notturno e definisce i lavori usuranti.
  • D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, Attuazione della direttiva 1997/81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES. In attuazione dei principi comunitari disciplina il rapporto di lavoro a tempo parziale definendo, fra l'altro, forme e contenuti del contratto, modalità e limiti del lavoro supplementare e straordinario, principio di non discriminazione, tutele e incentivi.

Giurisprudenza

  • Corte di Cassazione, sentenza n. 3898/2003. L’orario di lavoro part-time concordato non può essere modificato unilateralmente dal datore di lavoro, nemmeno per legittime esigenze organizzative e produttive; ogni modifica richiede il consenso del lavoratore, in assenza del quale deve ritenersi illegittima e priva di effetto.
  • Corte di Cassazione, sentenza n. 15774/2011 e Corte di Cassazione, sentenza n. 11905/2011. Il rapporto di lavoro costituito originariamente a tempo parziale può trasformarsi, per fatti concludenti, in rapporto a tempo pieno. Ciò si può verificare per effetto della continua ed effettiva osservanza di un orario di lavoro pari a quello previsto per il lavoro a tempo pieno

Circolari e note