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Immagine per Orari autogestiti e partecipazione fanno la differenza

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Alla Easy Lock i dipendenti scelgono quando lavorare con l’aiuto di una coordinatrice. E dal basso arrivano anche molte buone idee
14 giugno 2017
Tempo di lettura: 5,3 min.
“Qui nessuno è solo”, recita un cartello all’ingresso della Easy Lock. Principio che in questa azienda tessile di Imola viene declinato su più fronti, dall’autogestione degli orari alle occasioni di condivisione e partecipazione. “Nessuno è solo anche perché il problema del singolo diventa un problema per tutti” chiosa Rocco Mazzatura, titolare insieme a Maria Grazia Albonetti. “Se chi controlla i capi da imbustare non fa bene il suo lavoro, i clienti li rimandano indietro, non pagano e così mancano soldi anche per gli stipendi degli altri”.

Easy Lock nasce nel 2007, raccogliendo il testimone di altre aziende con un’esperienza ventennale nella maglieria femminile. All’inizio è terzista per grandi marchi come Versace, John Richmond, Balenciaga e Gucci, ai quali è in grado di offrire un servizio completo, dal disegno fino alla scatola chiusa. I ritmi sono imposti dai committenti, questo lascia scarsi margini di manovra sulle turnazioni, che devono adattarsi a richieste improvvise e urgenti. Tra dipendenti (oggi sono 12 donne e 3 uomini, età media intorno ai 35 anni) e titolari cresce il malcontento, si fanno grandi sacrifici per produrre grandi quantità, ma si vedono margini molto bassi.

Così, tre anni fa, la Easy Lock decide di abbandonare il terzismo. Oggi, al di là di qualche collezione per stilisti amici (“ci aiutano anche a capire le evoluzioni della moda”), produce tre marchi propri con numeri più piccoli e maggior valore aggiunto, venduti quasi esclusivamente all’estero (dalla Russia agli Usa, dall’Europa all’Australia) e presto anche in due negozi monomarca a New York e Parigi.

“Quando abbiamo deciso di fare questo passaggio – racconta Mazzatura a Equipeonline.it – i colleghi [chiama così i dipendenti ndr] erano spaventati. Consideravano l’addio al terzismo come l’abbandono di lidi difficili, ma conosciuti, verso altri lidi ignoti e chissà quanto burrascosi. Invece, le burrasche ce le siamo lasciate alle spalle, portando made in Italy di qualità nel mondo e riappropriandoci del nostro lavoro con margini superiori. Oggi paghiamo puntualmente stipendi leggermente più alti della media, anche se nessuno qui fa una corsa all’oro”.

L’addio al terzismo offre anche l’opportunità di riorganizzare il lavoro e gli orari in modo da garantire flessibilità all’azienda, ma anche conciliazione tra impegni familiari, personali e professionali. Si apre alle 6:30 e si chiude alle 18:30, ma in quella finestra dal lunedì al venerdì (si lavora di sabato solo quando non se ne può fare a meno) ognuno è libero di distribuire le sue 8 ore in base alle sue esigenze, abituali come occasionali. Quando lavora più di otto ore, può convertire l’eccesso in riposo, anziché in straordinario.

“Le esigenze sono varie e si combinano tra loro. Chi ha figli piccoli, per esempio, vuole entrare più tardi così può prepararli e accompagnarli a scuola, chi invece ha figli grandi o anziani ai quali badare magari entra alle 6:30 e nel primo pomeriggio è già a casa, oppure c’è chi preferisce una pausa pranzo più lunga… L’importante è che tutti abbiano presente che ci sono degli slot di lavorazione da finire entro un determinato tempo. Sono liberi di organizzarsi, ma ovviamente non è anarchia”.

A creare gli incastri cercando di non scontentare nessuno è una coordinatrice che parla con i colleghi, ne registra le esigenze e assicura che tra chi va e chi viene la produzione non si fermi. “Ha 27 anni e una laurea, l’abbiamo scelto per la sua flessibilità mentale e per la capacità di offrire soluzioni. Coordina anche il resto del lavoro, con la supervisione della mia socia. Se avessimo più reparti potremmo chiamarla caporeparto, noi però la vediamo come una nuvoletta sopra il terreno fertile che c’è qua dentro”.

Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, il passaggio alla flessibilità degli orari non è stato una passeggiata. “I primi mesi sono stati complicati, molti erano spaesati, non capivano le nuove regole, le vedevano come una complicazione rispetto al passato, ma poi tutti hanno capito i vantaggi della nuova organizzazione. La coordinatrice si è messa all’opera da subito, altrimenti sarebbe stato il caos”.

In azienda non c’è sindacato, le dimensioni ridotte facilitano però la partecipazione. Ci si riunisce per discutere come vanno i progetti, quali strade aprire, quali abbandonare e così via. “Le criticità ci sono, come in ogni azienda, il confronto però è civile anche quando è duro e alla fine si esce con un’opinione condivisa”. Spesso a fare da sfondo è la mensa, “una specie baracca romagnola” scherza il titolare. “Succede che qualcuno vada a fare la spesa e poi cucini per tutti, lo consideriamo orario di lavoro”.

Le buone idee arrivano spesso “dal basso”. “Avevamo delle macchine disposte disordinatamente, ma noi titolari, presi da altri problemi, non ci badavamo. I colleghi mi hanno fermato spiegandomi che così perdevano troppo tempo e mi hanno quindi proposto un nuovo layout, che io ho modificato pochissimo. Ci siamo fermati tre giorni e loro hanno cambiato da soli la disposizione, ho dovuto chiamare solo un elettricista. La qualità è aumentata e sono diminuite le ore lavoro”.

Easy Lock punta anche all’innovazione tecnologia, dai pannelli fotovoltaici per produrre energia alla rete che oggi collega tutti i suoi macchinari, realizzata sfruttando pure gli incentivi del Piano Industria 4.0. Molti impulsi sono arrivati proprio dai lavoratori. “I più giovani leggono riviste specializzate e ci fanno delle proposte, magari i più anziani all’inizio sono diffidenti, pensano che così si complicherà il lavoro, ma poi puntualmente devono ricredersi. È la conferma che il fattore umano a fa la differenza, direi che vale il 95%”.

Il cambiamento della Easy Lock ha dato risultati importati di produttività. Alcuni sono misurabili, come il calo dei reclami da parte dei clienti, zero infortuni e un paio di giorni di malattia a testa da sei anni a questa parte o il fatto che sia sempre più rara la necessità di lavorare anche di sabato nonostante i picchi. “Altri - sottolinea Mazzatura -. non sono quantificabili, ma visibili. Come l’impegno e l’entusiasmo nel lavoro, il non tirarsi mai indietro quando c’è da spingere un po' di più o accettare di buon grado le ferie obbligate nei periodi più calmi ed essere sempre pronti a ripartire dopo la chiusura”.

“Nessuno dice ‘non è il mio lavoro’ e qui non vedo divisioni nette tra proprietari e dipendenti. Siamo davvero tutti colleghi”.

 

Equipeonline.it

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