Divieto di licenziamento

Disciplina e durata

Fin dagli anni settanta, il nostro ordinamento ha tutelato la posizione della madre lavoratrice al fine di garantire alla stessa un’effettiva parità in relazione al diritto al lavoro, in ogni sua fase, dalla costituzione del rapporto di lavoro alla cessazione dello stesso.

La normativa vigente prevede, a tale scopo, un divieto assoluto di licenziamento delle lavoratrici, come pure di sospensione dal lavoro e di collocazione in mobilità, dall’inizio dello stato di gravidanza fino al termine del periodo di congedo obbligatorio, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino (art. 54, commi 1 e 4,T.U.). Per determinare l’inizio del periodo di gravidanza si presume che il concepimento sia avvenuto 300 giorni prima della data del parto, indicata nel certificato di gravidanza (art. 4 D.P.R. 1026/1976).

Il divieto opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza per cui l’illegittimità del recesso del datore di lavoro prescinde dalla conoscenza che lo stesso abbia della condizione della dipendente. Di conseguenza, la lavoratrice licenziata nel periodo in cui opera il divieto può ottenere il ripristino del rapporto di lavoro, presentando al datore entro il termine di 90 giorni, decorrenti dal giorno successivo al licenziamento, idonea certificazione dalla quale risulti l’esistenza, all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano (art. 54, comma 2,T.U.). Il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore che usufruisca del congedo di paternità, per tutta la durata del congedo stesso, e si estende fino al compimento di 1 anno di età del bambino (art. 54, comma 7, T.U.).

Il licenziamento intimato in violazione di tali divieti, o causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore, è nullo (art. 54, commi 5 e 6,T.U.). In tal caso, per giurisprudenza costante spetta alla lavoratrice, a titolo risarcitorio, il diritto alle retribuzioni dovute dalla data del licenziamento fino al compimento dell’anno di età del bambino, in quanto il rapporto si deve considerare come mai interrotto (ex plurimis, Cass. 16189/2002).

Limiti al divieto di licenziamento

Il divieto di licenziamento ha dei limiti tassativamente individuati dalla normativa nei seguenti casi:

  1. colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
  2. cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
  3. ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o risoluzione del rapporto per la scadenza del termine; e
  4. esito negativo della prova (art. 54, comma 3,T.U.).

La giurisprudenza ha chiarito che l’omissione dell’informazione relativa al proprio stato di gravidanza non costituisce giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro, non integrando quella “colpa grave” prevista dalla norma che ne legittimerebbe il licenziamento (Cass. 2244/2006). Parimenti, la condotta della lavoratrice gestante, che al momento dell’assunzione non comunichi al datore di lavoro il suo stato interessante, non viola gli obblighi di buona fede e correttezza (Cass. 9864/2002).

La Suprema Corte ha poi affermato che nell’ipotesi di licenziamento comminato a seguito della chiusura del solo reparto cui è addetta la lavoratrice, lo stesso può considerarsi giustificato solo se il reparto ha un’autonomia funzionale e la lavoratrice non sia collocabile in altro reparto. Ancora, è illegittimo il licenziamento intimato per un’assenza ingiustificata protrattasi per pochi giorni (Cass. 19912/2011).

Infine, l’individuazione dei fatti che legittimano la risoluzione del rapporto di lavoro con la lavoratrice deve essere effettuata in maniera rigorosa, tenendo conto delle particolari condizioni psico-fisiche della lavoratrice (Cass. 16060/2004).

Divieto di licenziamento nei casi di adozione e affidamento

Anche per l’adozione e l’affidamento, nei casi di fruizione del congedo di maternità/paternità, vige il divieto di licenziamento che si estende fino ad un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare (art. 54, comma 9,T.U.).

Legislazione comunitaria

Direttiva 1992/85/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Impegna gli stati a prevedere disposizioni minime a tutela della maternità (congedo di maternità di almeno 14 settimane prima e post parto; mantenimento di retribuzione/indennità durante il congedo; divieto di licenziamento dall’inizio della gravidanza al termine del congedo, riorganizzazione temporanea dei tempi e delle condizioni di lavoro o l’esonero da esso se rischioso per la salute della donna). La disciplina nazionale del congedo di maternità prevede standard di tutela più ampi rispetto ai minimi prescritti dal Consiglio. La direttiva è stata recepita in Italia solo nella parte riguardante la salute, attraverso il D. Lgs. 645/1996 (ora abrogato dal D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 che ne ha adottato le disposizioni in materia di tutela della maternità).

Legislazione nazionale

D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53 → Riorganizza, unifica e semplifica la normativa in materia di tutela della maternità e paternità: la Legge 1204/1971 (ormai abrogata) e la Legge n. 53/2000 sui congedi parentali.

Giurisprudenza

  • Corte di Cassazione, sentenza n. 19912/2011. E’ illegittimo il licenziamento intimato per un’assenza ingiustificata protrattasi per pochi giorni.
  • Corte di Cassazione, sentenza n. 2244/2006. E’ illegittimo il licenziamento intimato a causa della mancata comunicazione dello stato di gravidanza da parte della lavoratrice al momento dell’assunzione.
  • Corte di Cassazione, sentenza n. 23684/2004 (testo non disponibile). Il licenziamento è giustificato nell’ipotesi di chiusura del solo reparto cui è addetto il lavoratore, a condizione che il reparto abbia autonomia funzionale e il lavoratore non sia collocabile in altro reparto.
  • Corte di Cassazione, sentenza n. 16060/2004 (testo non disponibile). L’individuazione dei fatti che legittimano la risoluzione del rapporto di lavoro con la lavoratrice deve essere effettuata in maniera rigorosa, tenendo conto delle particolari condizioni psico-fisiche della lavoratrice.
  • Corte di Cassazione, sentenza n. 9864/2002. La condotta della lavoratrice gestante, che al momento dell’assunzione non comunichi al datore di lavoro il suo stato interessante, non viola gli obblighi di buona fede e correttezza.
  • Corte di Cassazione, sentenza n. 16189/2002. Nel caso di licenziamento intimato in violazione del divieto normativo di cui all’art. 54 T.U., spetta alla lavoratrice, a titolo risarcitorio, il diritto alle retribuzioni dovute dalla data del licenziamento fino al compimento dell’anno di età del bambino, in quanto il rapporto si deve considerare come mai interrotto.