Innovazione basata sulla partecipazione in Italia
Sin dalla crisi dei primi anni ’90, si poteva osservare nelle discussioni sulle strategie future di moltissime imprese italiane il dilemma tipico di scelta tra due strade diverse: innovare o continuare come prima?
Il dubbio era se proseguire su un modello competitivo, sino ad allora vincente, centrato sui bassi costi di produzione e sulla flessibilità imposta e attuata con leve semplici (straordinario e cassa integrazione) e cioè su quella che veniva indicata come “via bassa e povera”, oppure se imboccare decisamente la “via alta”.
La “via alta” (o High Road, nella denominazione europea) era collegata all’ingresso nell’Euro e al venir meno delle svalutazioni competitive possibili con la vecchia Lira; essa prevedeva di puntare sull’aumento della qualità dei prodotti, su gamme di fascia più alta, e quindi su forte innovazione di prodotto e di processo, con nuove tecnologie e nuove forme organizzative di tipo lean.
Questo dilemma, tuttavia, in molti casi si è trascinato sino alla grande crisi del 2008-15. Prima della crisi l’opzione della “via alta” era stata fatta solo in alcuni settori e nelle imprese più lungimiranti. La crisi invece ha messo rapidamente fuori mercato molte imprese obsolete ed ha obbligato una ampia parte delle imprese attive, soprattutto quelle esportatrici, ad accelerare l’innovazione tecnologica e organizzativa e a riposizionarsi sul mercato, come condizione essenziale per uscire dalla crisi. Tuttavia ci sono ancora molte aziende di settori meno esposti alla concorrenza o marginali che proseguono sulla “via bassa” e sulla competizione sui costi. Secondo alcuni sono ancora la maggioranza. E questo è il “nostro problema paese” più importante.
Ma come accelerare questo processo che risulta ancora troppo lento oppure iniziato con molto ritardo? Come noto, le economie del Nord Europa e della Germania presentano un grado più elevato di innovazione dentro le imprese, che viene ricondotto dagli analisti anche al più elevato grado di partecipazione dei lavoratori ai processi di innovazione e alla stessa gestione dell’impresa. Invece nel nostro paese accade spesso che imprese, management e sindacati considerino la partecipazione come un lusso che “noi non possiamo concederci”, o qualcosa di inutile e costoso. In seguito a questo pregiudizio, accade che i progetti innovativi presentino una dicotomia tra progetti a bassa partecipazione e progetti ad alta partecipazione.
Nel primo caso, i progetti sono di solito studiati e analizzati dai responsabili aziendali che coinvolgono quasi esclusivamente i capi dei reparti produttivi e gli specialisti, come ad esempio gli esperti delle tecnologie, della manutenzione, della logistica, dei magazzini, dello sviluppo prodotto. In questi progetti elaborati dai team direzionali si adotta una modalità top down e si ottengono risultati spesso significativi, ma che, purtroppo, sono solo una parte limitata di quelli che si potrebbero ottenere.
Ma vi sono anche casi del secondo tipo, in cui un pieno aumento della produttività (di linea, di isola, di team) viene raggiunto attivando forme di partecipazione più forte che prevedono un coinvolgimento più ampio e diretto di tutti gli operatori sin dalla fase di progettazione. La causa di questo diverso esito è collegata al fatto che la produttività dipende oggi soprattutto dal grado di cooperazione nel gruppo dei lavoratori, dall’affiatamento dei team operativi e dal loro rapporto con i team tecnici. Ci sono casi in cui il maggiore coinvolgimento attiva una più forte cooperazione tra ruoli e funzioni diverse; oppure attiva una più forte capacità di problem solving dei singoli e dei gruppi. In generale l’effetto è di accelerare il processo di miglioramento e di correzione degli errori e degli sprechi, attivato direttamente dagli operativi. Come conseguenza la produttività e la qualità aumentano in modo elevato.
In conclusione, la spinta alla innovazione, in un contesto tecnologico sempre più complesso e con esigenze competitive sempre più elevate, ha rapidamente convinto le imprese più dinamiche a introdurre molti cambiamenti nei sistemi di gestione e forme di forte responsabilizzazione e alta partecipazione diretta dei lavoratori con l’obiettivo di aumentare le performance produttive. La rapida crescita delle forme di partecipazione diretta dei lavoratori non è stata quindi una opzione ideale da parte della Direzione di impresa, né una scelta di politica delle risorse, ma più spesso una impellente esigenza economica imposta dalla necessità di competere nel mercato internazionale.
La partecipazione diretta è oggi a tutti gli effetti un fattore produttivo rilevante, dal momento che molti progetti innovativi e soprattutto le nuove forme di organizzazione ispirate alla lean production, non raggiungono completamente i risultati attesi di produttività e qualità senza il coinvolgimento e la partecipazione diretta dei lavoratori. La controprova di questa affermazione si può facilmente trovare nel numero elevato di insuccessi che hanno incontrato i progetti aziendali di lean, quando sono stati gestiti solo con modalità top down e senza coinvolgimento sostanziale dei lavoratori. Questi insuccessi hanno convinto i manager e gli imprenditori più avveduti a imboccare decisamente la strada del coinvolgimento e della adozione di forme di partecipazione diretta più evolute, viste come garanzia di successo degli investimenti in innovazione. Purtroppo questa parte più dinamica è valutata essere solo un 30% circa del nostro intero sistema produttivo. La spaccatura tra imprese più innovative, con alta partecipazione diretta, e imprese con modelli di gestione più tradizionali e meno partecipativi è un nuovo dualismo che si aggiunge a quelli più tradizionali del nostro sistema (cfr. rapporti ISTAT sulla Competitività 2014 e 2015).
In sintesi, la partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione e innovazione dei processi produttivi è un rilevante fattore di produttività in quanto consente:
- un notevole aumento della motivazione del personale a produrre di più e meglio,
- una più precisa individuazione e riduzione degli sprechi di risorse materiali e umane (es. ore lavorate, energia, guasti, difetti di qualità, etc. )
- una gestione più efficiente delle tecnologie, dei flussi produttivi e del rapporto uomo/macchina. Infatti se le persone si fanno carico della gestione efficiente delle tecnologie, la produttività sul singolo workplace aumenta vertiginosamente.
- una più rapida attivazione di nuovi modelli organizzativi e di nuove tecnologie: la partecipazione diretta accelera il cambiamento, genera soluzioni buone al primo colpo e favorisce l’accumulo e lo sviluppo di know how produttivo, socializzato e innovativo.
(Campagna L., Pero L., 2017 - per EQuIPE2020)