Congedo di maternità

Definizione

Il congedo di maternità (ex astensione obbligatoria) è il periodo nel quale la lavoratrice dipendente ha il diritto/obbligo di astenersi dal lavoro (art. 2 T.U.). Per tutto il periodo di congedo, alla lavoratrice spetta un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione e vige il divieto assoluto in capo al datore di adibire le donne al lavoro (art. 16 T.U.). L’astensione non è obbligatoria per le lavoratrici autonome (artigiane, commercianti, coltivatrici dirette, colone e mezzadre, imprenditrici agricole a titolo principale), per le quali vige una disciplina differenziata regolata dalla L. 546/1987.

Durata

Normalmente, il divieto di adibire le donne al lavoro è assoluto dai 2 mesi precedenti alla data presunta del parto sino ai 3 mesi successivi (art. 16 T.U.). Sono comunque coperti dal congedo:

  1. in caso di parto tardivo, i giorni ulteriori tra la data presunta e la data effettiva del parto;
  2. in caso di parto prematuro, i giorni non fruiti si sommano al periodo di congedo dopo il parto (che decorre dalla data di ingresso del nato prematuro nella casa familiare: C.Cost. 270/1999C.Cost. 116/2011), anche qualora la somma dei periodi di (2 mesi precedenti e i 3 mesi successivi al parto) superi il limite complessivo di cinque mesi.

Il giorno del parto è compreso nella tutela, ma è dies a quo per calcolare i 2 mesi precedenti e i 3 successivi e non si calcola né tra i primi né tra i secondi. Pertanto, anche quando la data effettiva del parto coincida con quella presunta, la durata minima del congedo di maternità è pari a 5 mesi e 1 giorno (Cass. 1401/2000).

Ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità (5 mesi), la lavoratrice può scegliere di posticipare l’inizio del congedo al mese precedente la data presunta del parto proseguendo nei quattro mesi successivi allo stesso (c.d. flessibilità del congedo di maternità art. 20 T.U.). È possibile posticipare l’inizio del congedo solo in presenza della certificazione attestante che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.

Fanno eccezione i casi in cui per motivi oggettivi (tutela della salute della madre o del bambino), il periodo di astensione obbligatoria può essere esteso. Si tratta delle ipotesi di anticipazione e proroga del congedo di maternità.

Anticipazione. Il periodo di astensione obbligatoria può essere anticipato a 3 mesi dalla data presunta del parto nel caso in cui le lavoratrici siano occupate in lavori gravosi o pregiudizievoli in relazione all’avanzato stato di gravidanza. Può, inoltre, essere prescritta un’ulteriore anticipazione nelle ipotesi di “gravidanza a rischio” o condizioni di lavoro pregiudizievoli che non possano essere modificate con lo spostamento ad altre mansioni (art. 17 T.U., comma 1 e 2), per il periodo determinato dalla Direzione Territoriale del Lavoro o dalla ASL. Ai fini dell'anticipazione del congedo, è condizione essenziale l’emanazione di un apposito provvedimento della ASL e della Direzione Territoriale del Lavoro (interdizione anticipata). A partire dal 1° aprile 2012, la procedura di interdizione anticipata per "gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza" è trasferita alla competenza esclusiva della ASL (art. 17 T.U., comma 3, come modificato dall'art. 15 del D.L. n. 5/2012, c.d. Decreto Semplificazioni).

Proroga. La Direzione Territoriale del Lavoro può prorogare il periodo di astensione sino a 7 mesi dopo il parto nelle ipotesi in cui le condizioni di lavoro siano pregiudizievoli per la sicurezza e la salute della lavoratrice e la stessa non possa essere adibita ad altre mansioni, (art. 7 T.U., comma 6 e art. 6 T.U., comma 1).

Sospensione. L'inizio del congedo post partum può essere sospeso nel caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata. In questo caso la madre può richiedere di godere del congedo a partire dalla data di dimissione del bambino. Il diritto alla sospensione può essere esercitato una sola volta per ciascun figlio ed è subordinato alla attestazione medica della compatibilità dello stato di salute della madre con la ripresa della attività lavorativa (nuovo art. 16-bis T.U., introdotto dall'art. 2 del D.Lgs. 80/215).

L'interruzione della gravidanza (spontanea o terapeutica) è diversamente regolata secondo il fase di gestazione in cui interviene:

  • prima del 180° giorno di gestazione, è considerata come malattia a tutti gli effetti (art. 19 T.U.);
  • dopo il 180° giorno di gestazione, è considerata parto a tutti gli effetti e dà comunque diritto al congedo di maternità e al relativo trattamento per il periodo post partum (art. 12 D.P.R. 1026/1976).

In passato il diritto al congedo obbligatorio post partum in caso di interruzione successiva al 180°giorno era interpretato come diritto indisponibile cui la lavoratrice non poteva rinunciare (anche in assenza di controindicazioni certificata dal medico curante). Fino all'esaurimento del periodo post partum la lavoratrice non poteva riprendere l’attività lavorativa (Risp. Interpello Min. Lav. 51/2009).

Ora, innovando rispetto all'orientamento passato, il nuovo comma 1bis dell'art. 16 T.U. stabilisce espressamente che, in caso di interruzione di gravidanza oltre il 180° giorno di gestazione, la lavoratrice ha la facoltà di riprendere l’attività in qualunque momento, con un preavviso di 10 giorni, a condizione che sia certificata l'assenza di pregiudizio alla sua salute.

Ai sensi dell'art. 22 T.U. (commi 3 e 6), le ferie e le assenze eventualmente spettanti ad altro titolo non possono essere godute contemporaneamente al congedo di maternità e i periodi di congedo sono computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti (ad es. tredicesima, ferie e T.F.R.).

Infine, l'art. 24 T.U. disciplina il prolungamento del diritto all'indennità in caso di cessazione del rapporto di lavoro. In particolare, se durante i periodi di congedo pre e post partum, il rapporto di lavoro sia risolto per scadenza del termine o licenziamento per cessazione dell'attività dell'azienda o anche per giusta causa derivante da colpa grave della lavoratrice (così innovato dall’art. 3 del D.Lgs. 80/215), la stessa ha comunque diritto all'indennità di maternità.
Inoltre le lavoratrici gestanti che si trovino, all'inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate, sono ammesse al godimento dell'indennità di maternità purchè tra l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e quello del congedo non siano decorsi più di sessanta giorni. Qualora siano trascorsi più di 60 giorni e la lavoratrice si trovi disoccupata e in godimento dell'indennità di disoccupazione, avrà diritto all'indennità di maternità anzichè all'indennità di disoccupazione (art. 24 T.U., comma 4).

Legislazione comunitaria

  • Direttiva 2010/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, 7 luglio 2010, sull'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma che abroga la direttiva 86/613/CEE del Consiglio. Le lavoratrici autonome, nonché le coniugi e conviventi che contribuiscono all'attività di lavoratore autonomo, possono beneficiare di un'indennità di maternità per almeno 14 settimane. L'indennità di maternità dovrà essere sufficiente a consentire interruzioni nella loro attività lavorativa. A far data dal 5 agosto 2012, la vecchia direttiva 86/613/CEE è stata abrogata e la nuova direttiva dovrà essere recepita in tutti i Paesi dell'UE.
  • Direttiva 1992/85/CEE del Consiglio, 19 ottobre 1992, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Impegna gli stati a prevedere disposizioni minime a tutela della maternità (congedo di maternità di almeno 14 settimane prima e post parto; mantenimento di retribuzione/indennità durante il congedo; divieto di licenziamento dall’inizio della gravidanza al termine del congedo, riorganizzazione temporanea dei tempi e delle condizioni di lavoro o l’esonero da esso se rischioso per la salute della donna). La disciplina nazionale del congedo di maternità prevede standard di tutela più ampi rispetto ai minimi prescritti dal Consiglio. La direttiva è stata recepita in Italia solo nella parte riguardante la salute, attraverso il D. Lgs. 645/1996 (ora abrogato dalD.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 che ne ha adottato le disposizioni in materia di tutela della maternità).

Legislazione nazionale 

  • D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 80, Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (cd. Jobs Act). Interviene sul solco della normativa vigente ad estendere le tutele e i beneficiari delle misure previste dal Testo Unico 151/2001 (tutela e sostegno della maternità e paternità).
  • D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53. Riorganizza, unifica e semplifica la normativa in materia di tutela della maternità e paternità: la L. 1204/1971 (abrogata) e la L. 53/2000 sui congedi parentali.
  • L. 8 marzo 2000, n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città. Prevede disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione. Sancisce nuovi diritti e tutele per le madri, i padri, i bambini, le lavoratrici e i lavoratori, e incide profondamente sul preesistente quadro normativo di tutela delle lavoratrici madri con l’estensione di alcuni diritti al lavoratore padre. Evidenzia una nuova concezione del ruolo di entrambi i genitori nell’educazione e nella cura dei figli.
  • L. 29 dicembre 1987, n. 546, Indennità di maternità per le lavoratrici autonome. Estende il diritto all'indennità di maternità anche alle lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali, ovvero alle categorie di lavoratrici prima escluse dal sistema di tutela riservato dalla legge alle sole lavoratrici dipendenti.

Giurisprudenza

  • Corte di Cassazione, sentenza n.1401/2000. Per stabilire se la lavoratrice si trovi, all'inizio dell'astensione obbligatoria, disoccupata e in godimento dell’indennità di disoccupazione, con diritto quindi all’indennità giornaliera di maternità il periodo di astensione (nella frazione pre partum e in quella post partum) va determinato senza computare il giorno del parto, che costituisce il dies a quo comunque coperto dalla tutela. Pertanto, nei rari casi in cui il giorno del parto presunto coincida con quello effettivo, il periodo di astensione obbligatoria sarà complessivamente di cinque mesi ed un giorno: i due mesi precedenti, il giorno del parto, i tre mesi successivi.
  • Corte Costituzionale, sentenza n. 270/1999Corte costituzionale, sentenza n.116/2011. Nell'ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, la madre lavoratrice deve poter fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d'ingresso del bambino nella casa familiare (e non dalla data effettiva del parto).

Circolari e note 

  • Circolare Ministero del Lavoro, 16 febbraio 2012, n. 2/2012. "Novità in materia di lavoro e legislazione sociale. Primi chiarimenti interpretativi per il personale ispettivo". Chiarimenti a seguito alla pubblicazione del D.L. 5/2012 (c.d. Decreto Semplificazioni), che ha previsto importanti novità in materia di lavoro e legislazione sociale, in attesa della conversione in legge del Decreto. In particolare, l'art. 15 del D.L. n. 5/2012 ha modificato il 3° comma dell'art. 17, D.Lgs. 151/2001, trasferendo, in via esclusiva, a far data dal 1° aprile 2012, la competenza relativa alla "procedura di interdizione anticipata dal lavoro per gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose, compresa l'adozione del provvedimento finale di astensione" alle ASL.
  • Risposta Interpello Ministero del Lavoro, 5 giugno 2009, n.51/2009. Il Ministero chiariva che il divieto di adibire le donne al lavoro nel periodo di astensione obbligatoria (di cui all'art.16 del D.Lgs. 151/2001) permaneva anche nei casi di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza avvenuta successivamente al 180° giorno dall’inizio della gestazione, in quanto circostanza equivalente al parto. La lavoratrice non poteva, pertanto, essere adibita al lavoro, nel periodo di astensione obbligatoria successivo all’evento interruttivo, evento coincidente non con la morte del nascituro, bensì con l’espulsione del feto con conseguente diritto all’indennità di maternità. L'orientamento è ora mutato a seguito dell'introduzione dell'introduzione del nuovo comma 1bis dell'art. 16 T.U.
  • Circolare INPS 139/2011. Chiarimenti in ordine alle novità riguardanti i congedi e i permessi riconosciuti alle lavoratrici ed ai lavoratori dipendenti, in occasione della maternità/paternità, introdotte dal D.Lgs 18 luglio 2011, n.119 agli articoli 2 e 8 (introduzione dell'art.16,1bis e modifica dell'art. 45 del D.Lgs. n. 151/2001).
  • Messaggio INPS 11831/2007. Intervento interpretativo a seguito della sentenza della Corte di Cassazione 1401/2000. Chiarimenti in ordine al computo del periodo di congedo pre partum: il datore di lavoro deve calcolare i due mesi a ritroso, senza includere la data presunta di nascita indicata nel certificato di gravidanza.
  • Circolare INPS 45/2000. Intervento interpretativo a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n.270 del 1999. Chiarimenti in tema di indennità di maternità e parto prematuro: fattispecie pregresse, interdizione anticipata e lavoratrici autonome.
  • Circolare INPS 231/1999. Intervento interpretativo a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n.270 del 1999. In caso di parto prematuro l'indennità di maternità deve essere corrisposta per un periodo complessivo di 5 mesi, sempreché la lavoratrice si sia effettivamente astenuta dal lavoro.